Tale padre, tale figlio

Giocare a calcio.
Tre parole brevi, semplici che nascondono una verità altrettanto elementare: il calcio è nato come un giuoco, ma negli anni ha perso la u e con essa lentamente ha smarrito anche la sua essenza.
Un gioco, per definizione, è una cosa che si fa per divertirsi, per far divertire anche gli altri. Il calcio è, inoltre, un gioco di squadra ed una squadra non è altro che l’unione sotto un’unica bandiera di tante unità differenti.
Si dice sempre che lo spirito vero del calcio è in Brasile, dove i bambini poveri soffrono la fame, ma giocando a calcio per strada nelle favelas dimenticano per un po’ le loro preoccupazioni. E allora come si deve sentire un bambino brasiliano che arriva in Italia con la cultura del calcio come divertimento, che a quattordici anni gioca in una squadra piemontese, il Cenisia, dimostra di avere talento, segna e inventa giocate per i compagni ed invece di ricevere applausi sente frasi razziste dei genitori degli altri bambini che sono sugli spalti?
Avrebbe voglia di smettere, perché il calcio per lui non è questo, ma il razzismo, si sa, è ignoranza, è disprezzo di ciò che non si conosce, è paura di ciò che può essere migliore di quanto siamo noi, perché Edgard è forte, è un talento in erba ed agli altri genitori vedere qualcuno più bravo del proprio figlio, soprattutto con la pelle nera, non va proprio giù.
E poi ci scandalizziamo che i ragazzi facciano i bulli a scuola, siano violenti con i più deboli e violentino per essere fighi. C’è poco da meravigliarsi, se questi sono i genitori che dovrebbero educarli al rispetto e all’amore per il prossimo, i figli non possono che esserne degni eredi.

Articolo di Mike75
A Cura del Gruppo Giornalistico di ScudettoWeb

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